Legge di stabilità 2016. Su Università e Ricerca misure insufficienti ed estemporanee destinate ad aumentare squilibri e disuguaglianze

In materia di Università e Ricerca la bozza del disegno di legge di stabilità 2016 di cui disponiamo contiene misure insufficienti ed estemporanee i cui principali effetti saranno quelli di aumentare gli squilibri all’interno del sistema accademico e le disuguaglianze fra le sue componenti.

Comprendiamo il legittimo orgoglio con cui il Ministro Giannini rivendica l’aumento del numero dei contratti di formazione specialistica dei medici, grazie a un incremento di 429 milioni di euro, dal 2016 al 2020, delle risorse destinate (art. 22, co. 5). Riteniamo tuttavia che tale orgoglio sarebbe potuto essere più pieno e giustificato se si fosse contestualmente risolto anche l'annoso problema del dottorato senza borsa, più volte portato all'attenzione del MIUR dall'ADI nel corso degli ultimi anni. Attualmente, infatti, oltre 2.000 colleghi per ogni ciclo non percepiscono alcun sostegno economico per il loro percorso e sono anzi costretti a pagare tasse che possono arrivare fino a 2.000 euro l'anno, sperimentando una condizione di precarietà che non solo intacca le condizioni di vita e di ricerca dei singoli ma che compromette il processo di produzione del sapere da parte degli atenei in cui operano. A ciò va aggiunto che il numero delle borse di dottorato bandite annualmente è calato del 15% dal 2008 a oggi mentre l’Italia ristagna al 26° posto su 28 Paesi europei per numero di dottorandi ogni 1.000 abitanti. Ci aspettiamo dunque che nell'iter parlamentare della Legge di Stabilità si intervenga anche su questo aspetto prioritario.

Se il Dottorato viene quasi del tutto ignorato, le prospettive dei giovani ricercatori ricevono risposte insufficienti o preoccupantemente conservative.

Nell’art. 22 si prevede un incremento dell’FFO di 55 milioni di euro per il 2016 e di 60 milioni di euro a decorrere dal 2017 per l’assunzione di ricercatori a tempo determinato di tipo “b” (co. 1), fondi la cui assegnazione sarà effettuata con un decreto del MIUR che terrà conto dei risultati della valutazione della qualità della ricerca(VQR) (co. 2).

L’assunzione di circa 370-400 RTDb in più all’anno - abbiamo ricavato il dato dividendo gli incrementi annui previsti dal DdL per un costo complessivo di un RTDb stimato in 148 mila euro - a partire dal 2016 consentirà indubbiamente di aumentare un tasso di reclutamento drammaticamente basso (3 RTDb nel 2011, 13 nel 2012, 96 nel 2013 e 195 nel 2014), concentrando l'attenzione sull'unica figura che tramite un meccanismo di tenure track dà la possibilità di un accesso al ruolo. Si tratta però di un livello di reclutamento quantitativamente troppo esiguo per mettere in sicurezza il sistema accademico italiano. Siamo infatti ben lontani da quello che era il reclutamento di ricercatori a tempo indeterminato nel periodo precedente la legge 133/2008 (1.700 posizioni l'anno), dalle indicazioni del CUN e dalla richiesta di Gaetano Manfredi, presidente della CRUI, di un piano di straordinario per 10.000 ricercatori.

A queste considerazioni va aggiunto che il vincolo delle risorse per il reclutamento agli esiti della VQR appare come l’ennesimo uso della premialità in un’ottica punitiva da parte di un Governo che continua a promuovere meccanismi di finanziamento profondamente discriminatori e dannosi per l’Università nel suo complesso. Le nostre critiche nascono non solo dai numerosi e pesanti limiti che hanno caratterizzato l’esercizio della VQR, ma dall’idea stessa di ripartire sulla base di una discutibilissima idea di “merito” risorse necessarie – sebbene non ancora sufficienti – alla ripresa della funzionalità minima di un sistema devastato da anni di tagli e blocchi del reclutamento.

Di fronte allo scenario che si va delineando, l’abolizione del turn over per l’assunzione dei ricercatori a tempo determinato di tipo “a” (art. 22, co. 4) non basta per prospettare un cambiamento generale della condizione dei giovani ricercatori. In primo luogo, questa misura è finalizzata a favorire un maggior ricorso da parte degli atenei alla figura di RTD che richiede il minor aggravio in termini economici e non garantisce alcun diritto in merito all’accesso in ruolo. In secondo luogo, essa frustra le legittime speranze dei giovani ricercatori di poter abbreviare l’accidentato e irrazionale percorso accademico disegnato dalla legge 240/2010 riducendone le tappe.

Il Governo Renzi maschera da interventi di rilancio dell’Università e della Ricerca misure che nella realtà sono destinate ad aumentare in maniera sostanziale le già insostenibili sperequazioni interne al settore. Nel farlo,sceglie ancora una volta di non sciogliere la questione del precariato accademico, con interventi che non lasciano presagire alcuna possibilità di semplificazione delle figure pre ruolo e di ragionevole accesso a percorsi di stabilizzazione.