La piattaforma programmatica ADI e lo sciopero generale del 12 dicembre 2014

Dal nostro lavoro, quello di decine di migliaia di precari della ricerca, passa gran parte del funzionamento del sistema accademico italiano. Questo accade senza che ci sia offerta alcuna possibilità di realizzare il nostro progetto professionale e di vita. Dopo esserci formati per lunghi anni alla didattica e alla ricerca, dopo essere stati chiamati a contribuire allo sviluppo della conoscenza in questo Paese, veniamo respinti, espulsi dai luoghi del nostro lavoro, senza tutele e senza riconoscimento del percorso intrapreso.

Per queste ragioni, il 12 dicembre 2014, i dottorandi, gli assegnisti e i ricercatori non strutturati dell’ADI parteciperanno allo sciopero generale contro la riforma del mercato del lavoro e la legge di stabilità. Saremo al fianco di chi combatte contro lo smantellamento dei diritti di ogni lavoratore, di chi si oppone alla precarietà come paradigma sociale. Faremo questo sospinti con forza dalle tante storie interrotte di un'Università sempre più priva di risorse e di una classe dirigente in grado di difenderla. Sentiamo, allora, che tocca a noi: a partire dall'opposizione all’ennesima legge di stabilità che consegna il Paese in mano alle istituzioni internazionali del potere finanziario e agli interessi di una parte sola del sistema produttivo italiano.

Dal 2008 a oggi, l’Università è stata chiamata a saldare il conto della crisi come semplice voce di bilancio da tagliare, riducendosi sempre più a una nicchia per pochi privilegiati. Il governo sceglie ancora una volta di abdicare alle prospettive ampie di un ripensamento delle politiche industriali, di risanamento e di sviluppo del Paese come strada maestra per uscire dalla crisi, per rintanarsi nel consenso delle lobby e consorterie che lo sostengono: una visione miope in cui ancora una volta l’Università e la Ricerca non possono essere messe a fuoco come motore di un diverso modello di sviluppo, in cui sostenibilità e innovazione possano fondarsi sulla cultura come base per una reale democratizzazione della politica e dell’economia.

Per questo il 12 scenderemo a fianco dei lavoratori: perché come loro abbiamo la consapevolezza di essere la base di ogni prospettiva di miglioramento per questo Paese, perché vogliamo che anche il nostro lavoro – immateriale e cognitivo -  riacquisti la voce in capitolo sul valore che produce per la società.

 

  • Superamento del dottorato senza borsa. Una battaglia storica dell'ADI è quella per la copertura con borsa di tutti i posti di dottorato messi a bando in Italia. Questo obiettivo deve essere raggiunto attraverso lo stanziamento di risorse aggiuntive e non tramite la soppressione degli attuali posti senza borsa. Tra il 2008 e il 2014 abbiamo perso più di 6.000 posti a bando, passando da 15.300 a 9.190 dottorandi l'anno: già nel 2012 l'Italia si attestava al terzultimo posto su 28 paesi europei per rapporto tra dottorandi ogni mille abitanti (IV Indagine ADI). Chiediamo che la copertura totale dei posti con borsa sia realizzata su una base numerica equivalente a quella del 2008, prima che la crisi e la politica dei tagli lineari alla finanza pubblica si abbattessero sul nostro sistema accademico.
  • Status giuridico del dottorando e abolizione tasse. La Carta europea dei Ricercatori definisce i dottorandi come "ricercatori in formazione". Essi sono al tempo stesso oggetto e soggetto della formazione universitaria. In quanto tali e in considerazione del lavoro che essi svolgono in Università, non possono essere tassati. ADI chiede una revisione dello status giuridico del dottorando e l'abolizione di ogni forma di tassazione.
  • Valorizzazione del titolo di dottore di ricerca. Al di fuori del sistema accademico - nella Scuola, nella Pubblica Amministrazione e nel sistema produttivo del Paese - il titolo di dottore di ricerca non viene riconosciuto e valorizzato, aumentando il rischio di demansionamento e spreco di competenze altamente qualificate come quelle maturate durante il dottorato. Pertanto, ADI chiede: la fine del blocco del turn-over e la valorizzazione del titolo nei concorsi e negli avanzamenti di carriera nella PA; l'accesso diretto ai concorsi a cattedra per la Scuola - in condizione di soprannumerari rispetto alle magistrali abilitanti - anche attraverso il rafforzamento dei percorsi di apprendimento di metodologie didattiche all'interno al dottorato; la ripresa di politiche economiche espansive in grado di incidere sulla capacità del sistema produttivo di assorbire figure altamente formate.
  • Superamento dell'assegno di ricerca. Negli ultimi sei anni, i tagli al Fondo di finanziamento ordinario (FFO) hanno prodotto, tra le altre cose, l'aumento delle figure precarie impegnate nella ricerca accademica. Tra il 2008 e il 2013, mentre i finanziamenti calavano del 18,7%, gli assegnisti di ricerca aumentavano del 21,2%. Contestualmente, è aumentata l'età media degli assegnisti di ricerca, (da 33 a 34 anni) ed è diminuita di 5 punti percentuali la quota degli under 40 (IV Indagine ADI). L'assegno di ricerca, infine, oltre a rappresentare una tipologia contrattuale gravemente lacunosa dal punto di vista assistenziale e previdenziale, non è propedeutico al ruolo dei Ricercatore a tempo determinato (RTD). In queste condizioni, esso diviene solo strumento di moltiplicazione di un precariato senza sbocchi, derubricabile a mero ammortizzare sociale per la vasta mole di dottori di ricerca in via di espulsione dal sistema accademico. Dal punto di vista dell'impiego delle risorse nei bilanci di ateneo, l'assegno è entrato da tempo in competizione con i contratti da RTD. ADI chiede dunque il superamento dell'assegno di ricerca, senza però che questo si risolva in un devastante allontanamento degli assegnisti: è dunque necessario collegare l'abolizione dell'assegno a una riforma generale del reclutamento accademico e a un intervento che porti tale reclutamento su livelli compatibili con un ordinario e non emergenziale funzionamento degli atenei. Fino al raggiungimento di questo obiettivo e come misura transitoria, occorre abolire la norma contenuta nell'art. 22, comma 3, della legge 240/2010 che vincola a 4 anni il limite massimo di fruibilità dell'assegno di ricerca.     
  • Riforma del reclutamento accademico e semplificazione delle figure pre-ruolo. Nella IV Indagine ADI su Dottorato e Post-Doc emerge come i tagli al finanziamento dell'Università, il blocco del turn-over accademico e i bassi livelli di reclutamento di ricercatori a tempo determinato (RTD) di tipo "a" e "b", comporteranno nei prossimi 4 anni l'espulsione del 96,6% dei 15.300 assegnisti di ricerca attivi nel 2013. Alla determinazione di questo esito contribuisce soprattutto il basso livello di reclutamento di RTD: mentre il CUN ha messo in evidenza come, per mettere in sicurezza il sistema accademico, occorrerebbe creare ogni anno almeno 1600 RTDa e 1300 RTDb, gli attuali livelli di reclutamento di queste figure viaggiano attorno ai 520 RTDa e ai 120 RTDb. Si tratta di uno dei più grossi fallimenti dell'impianto complessivo della legge 240/2010, che si traduce nella forte espulsione di assegnisti di ricerca e di RTDa prodotta dai blocchi nell'accesso agli step successivi causati, a loro volta, dai limiti al turn-over, dall'assenza di meccanismi di tenure-track e dalla miscela esplosiva di bassi finanziamenti e sistema di distribuzione dei punti organico.
  • Modificare radicalmente i provvedimenti in materia di Università contenuti nel DdL Stabilità. Il Ddl di Stabilità 2015, lungi dal prendere atto della grave situazione sociale provocata nell'università italiana dalla legge 240/2010, si limita a proporre correttivi dannosi per le garanzie di stabilizzazione dei ricercatori precari. La visione condensata in questo Ddl è quella di una classe dirigente accademica incapace di esprimere una funzione egemone nel suo campo e dunque di puntare a una riforma di ampio respiro in grado di portare l'Università fuori dalla prospettiva di un imminente e certo collasso. Si spiega in questo modo l'allentamento, contenuto nel Ddl, del vincolo di reclutamento tra RTDb e professori ordinari, nel tentativo miope e ottuso di difendere non l'Università nel suo complesso, ma gli interessi di una sola parte: quella degli strutturati a danno delle fasce più deboli perché precarie.