Contratti di ricerca: una svolta necessaria, il rischio di una tagliola

Come ADI, abbiamo sempre sostenuto la necessità di valorizzare il lavoro postdottorale, anche attraverso contratti dignitosi, in primo luogo con una specifica figura dal percorso definito. Negli ultimi due anni, accanto alle nostre rivendicazioni storiche, abbiamo proposto il superamento dell’assegno di ricerca, una tipologia di contratto parasubordinato paradigma della precarietà all’interno di atenei ed enti di ricerca (https://dottorato.it/content/indagine-adi-2020).

Tale intento ha trovato effettivamente concretizzazione nell’introduzione, all’interno del D.L. 36/2022, del contratto di ricerca (qui la guida ADI alla riforma del preruolo https://dottorato.it/content/guida-adi-alla-riforma-del-preruolo-2022), che va a sostituire l’assegno di ricerca. Tuttavia il comma  6 dell’articolo 14 al D.L. 36/2022 riporta: 

La spesa complessiva per l'attribuzione dei contratti di cui al presente articolo non può essere superiore alla spesa media sostenuta nell'ultimo triennio per l'erogazione degli assegni di ricerca, come risultante dai bilanci approvati.” Come verrà poi specificato dalla Nota ai rettori diffusa dal MUR il 7 luglio 2022, tale disposizione è stata inserita “al fine di garantire la sostenibilità finanziaria dell’introduzione della nuova figura”.

L’impianto della riforma rischia di essere seriamente minacciato da questo comma, date le fortissime problematicità che pone.

Già a partire dalla formulazione, che risulta fortemente ambigua, considerato che non chiarisce la natura fissa o variabile di tale limite. 

Come valore fisso pari alla media della spesa sostenuta per assegni di ricerca nel triennio 2020-2022, nel tempo esso smetterebbe di essere rappresentativo della reale capacità di spesa degli Atenei; mentre, dall’altro, se fosse inteso come variabile, sconterebbe l’impossibilità di un suo calcolo nel tempo, in quanto gli assegni cesseranno di essere banditi a partire dal 2023. In ogni caso dunque richiederà degli adeguamenti interpretativi.

Ancor di più tuttavia tale comma rischia di avere conseguenze nefaste tanto per le lavoratrici e i lavoratori postdoc che per i gruppi di ricerca a cui essi appartengono. 

Allo stato attuale, le posizioni da assegnista di ricerca, considerando l’università e i principali enti di ricerca, ammontano a circa 17mila; si tratta sicuramente di una stima al ribasso, per la grande difficoltà a reperire dati aggiornati per tutti gli enti di ricerca presenti sul territorio italiano.

Una cospicua parte di questi assegni è costituita dai cosiddetti “predoc”, con un costo per le amministrazioni di circa 24mila euro e una retribuzione per l’assegnista di circa 1450 euro netti al mese. Spesso i bandi per tali assegni riportano comunque la preferenzialità del titolo di dottore di ricerca per la determinazione delle graduatorie.

Ciò ha causato nell’ultimo decennio una situazione di generale svalutazione del lavoro dei postdoc, che oggi rischia di aggravarsi a causa dell’introduzione del tetto di spesa, che avrà come conseguenza una inaccettabile contrazione dei posti.

Si consideri il costo di circa 35mila euro/anno per il nuovo contratto di ricerca, da raddoppiare in quanto il contratto è biennale; matematicamente si rischia una riduzione di due terzi delle posizioni esistenti al momento.

Inoltre il ridotto tempo della fase transitoria - 6 mesi - introduce la necessità di un ripensamento totale di molte delle attività di ricerca, in considerazione del personale impiegato negli obiettivi di ricerca, che dovranno di conseguenza essere ridimensionati. Tale rimodulazione rischia di creare una discontinuità che non si limita ai soli postdoc, ma potrebbe avere ripercussioni sull’intero sistema della ricerca. Non è da escludere, difatti, che il tetto di spesa e la necessità di una rimodulazione repentina inducano la redistribuzione dei fondi disponibili e delle attività di ricerca su figure quali le borse di ricerca (https://dottorato.it/content/riforma-del-preruolo-e-borse-di-ricerca-pos...).

Quanti gruppi rischieranno di sparire, soprattutto se caratterizzati da ricerche meno in linea con i trend di finanziamento, soprattutto in settori considerati tradizionalmente meno attrattivi, per esempio nell’area delle scienze sociali e umanistiche? Quanti avranno la forza di attirare più fondi esterni (non soggetti alla limitazione del tetto di spesa)? 

Si rischia dunque una doppia perdita, sia di lavoratrici e lavoratori, sia di varietà tematica della ricerca stessa. 

L’aumento del Fondo di Finanziamento Ordinario e il piano straordinario pluriennale per il reclutamento di RTD-B previsto dalla Legge di Bilancio 2021 (Legge 234/2021 art.1 c.297), seppure dotato di una cospicua (ma non sufficiente) dotazione finanziaria, non può in ogni caso fronteggiare il calo previsto dei contratti post-doc dovuto al tetto di spesa. Essa risulta quindi essere stata una scelta puramente contabile che non tiene conto dell’effettiva tenuta del sistema della ricerca italiana.

L’introduzione di un contratto di ricerca è il risultato di una lunga lotta nel tentativo di ripensare le logiche mortificanti dell’ultimo decennio. Tuttavia tale traguardo non può avvenire sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori della ricerca. 

Per tal motivo come ADI, in tutte le sedi competenti, ribadiremo la necessità di garantire risorse per questa fase, attraverso i) la prosecuzione nel lavoro di rifinanziamento del Fondo di Finanziamento Ordinario; ii) lo stanziamento di risorse aggiuntive per i progetti.. In tal senso, lavoreremo inoltre a una proposta che consideri il contratto di ricerca all’interno della programmazione di enti e atenei.